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WALTER BONATTI
Una biografia pittorica

Courmayeur - Tour Malluquin - 5-31agosto 2009
Pettinengo (BI) - Villa Piazzo - 26 settembre-31 ottobre 2010
 

BIVACCO
tecnica mista su tavola
45x30 cm - 2009

La storia
Il primo maggio 2009 la signora Donata Bérard mi ha telefonato proponendomi una mostra su Walter Bonatti.
Stupefacentemente lui era favorevole. Certo sapevo chi fosse Walter Bonatti, e avevo da poco ascoltato il suo racconto del salto nel vuoto sul pilastro del Dru, per televisione. E sapevo della pluridecennale polemica sulla conquista del K2. Ma in vista dell’incontro, stabilito per il 10 maggio, ho passato la settimana a leggere i suoi libri. Stavo su la notte a forza di caffè e i racconti si sovrapponevano, nelle successive versioni, illustrate dalle diapositive (stampate a volte al contrario!).
Dapprima ero più interessata alla montagna e alle immagini alpinistiche, ma nel progredire della lettura, l’attenzione si è spostata sui ritratti. I tratti del volto che si perfezionava con l’esperienza degli anni, uniti alla bellezza del corpo (a una visione superficiale mi erano apparsi di un’iconografi a standardizzata, come di un personaggio immaginario), sono diventati persona, e soprattutto persona famigliare e contemporanea!
Ero talmente presa dalla sua storia e dal suo aspetto, che mi sentivo io stessa molto atletica e coraggiosa. Mi alzavo la mattina prima dell’alba, dopo aver dormito un paio d’ore, e correvo a perdifi ato in fondovalle, rientrata facevo una doccia e ricominciavo a leggere e disegnare. Per l’incontro del 10 maggio ero alla fine preparatissima (“L’esame” è andato molto bene. Nessuno mi ha interrogata, se non sulla pittura).
Credo che in genere con lui sia così. Pare di essere amici da sempre. Come succede incontrando dei coetanei. O meglio, come succedeva, trent’anni fa, tra coetanei. Dall’11 maggio alla fine di giugno ho prodotto venticinque quadri sull’alpinismo, ma ancora non sapevo come avrei risolto quelli sulle esplorazioni. E Bonatti era stato esplicito, gentilmente aveva detto che la sua (eccezionale) attività esplorativa gli è cara. È la seconda parte della sua vita, la più vicina a lui nel tempo, certo non abbastanza valorizzata.
Le sue avventure, non una, ma decine, tutte epiche, a volte drammatiche (vedi la famosa tragedia del Freney), ne fanno un personaggio, che sembra direttamente uscito dai racconti della mitologia greca, che voleva eroi capaci di sopravvivere sempre, superando prove sovrumane. (E perciò considerati mezzi dei) Questo succedeva prima che si imponesse il concetto dominante dell’eroe martire, che muore.

Eravamo all’inizio dell’estate e l’inaugurazione stabilita per il 5 agosto, in una piccola torre medioevale, a Courmayeur. La torre ha tre piani, una ripida scala, spazi angusti, muri di pietra. Ho deciso che l’ultimo piano doveva riservare una sorpresa e che avrei esposto lì la parte dedicata alle esplorazioni e intanto cercavo vanamente i vecchi numeri di Epoca con i mitici supplementi di sedici pagine a colori dei reportages di Walter Bonatti.
Ho mandato allora una e-mail al mio caro amico Daniele G., che venticinque anni fa ha costruito con le sue mani una barca a vela: il “Cachopa”. È partito per le isole Antille lasciando la vita comune per sempre e da allora, con la sua compagna Lucia e i loro fi gli (Gioia nata a Grenada, e Morgan nato ad Antigua) vive in relazione permanente con il mare, in qualsiasi Continente. Essendo per lui, il mare, la strada che porta a casa. Essendo per lui, la casa, qualunque luogo abitato da amici.
Daniele mi ha mandato 52 numeri di Epoca gelosamente conservati in tutto il suo girovagare, tramite corriere espresso, che in cinque giorni me l’ha consegnati a casa. Una casa isolata a 1700mt, nelle montagne.
Ho quindi dipinto la sezione dedicata alle esplorazioni di Walter Bonatti su scatoloni aperti di cartone. Mi ricordano il cartoons, il cinema, il gioco, l’infanzia e l’effetto visivo delle grandi riproduzioni a colori delle pagine di Epoca. È una storia di rimandi in cui tutti i tasselli trovano il posto giusto, e perciò funziona.

Tutto ciò è figlio, secondo me, di una scuola trasversale, fatta di letture, fantasia, suggestioni e bisogno di identifi carsi nei modelli che le hanno alimentate, la spinta che unisce tutti gli esploratori di tutte le epoche. La stessa del mito di Ulisse - messo ingiustamente da Dante nell’inferno - perché se è vero che l’esploratore per defi nizione non smette mai di esplorare è anche vero che lo fa felicemente, sostenuto da incrollabile fiducia, da amore per ciò che fa e inesauribile speranza.
E credo che anche l’avventura pittorica appartenga a questa categoria.
Barbara Tutino



 
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